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Brevi Riflessioni per genitori… 

Nonni al tempo del coronavirus

Anna Maria Roda – Pedagogista e Counsellor formatore supervisore


La pandemia imposta dal coronavirus ha rappresentato per tutti una realtà che ha portato cambiamenti massicci, imprevisti e non sperimentati precedentemente.
La situazione ha coinvolto tutti: le persone, le famiglie, le istituzioni, le aggregazioni lavorative, quelle scolastiche e quelle di altra natura. Inizialmente nessuno aveva previsto l’esito dei contagi, né mai nel passato si erano verificate situazioni analoghe per significato, dimensione quantitativa, tempistica ed esiti. Ognuno si è quindi misurato con la necessità di fronteggiare un fenomeno critico e complesso che ha riguardato tutti, ha modificato gli stili di vita, ha mobilitato risposte adattive e ha innescato movimenti emotivi profondi. Pur riguardando tutti, l’esperienza vissuta si è declinata per ognuno con modalità diverse per grado di gravità e per le conseguenze complessive: qualcuno si è ammalato, qualcuno ha visto morire i propri familiari, qualcuno ha perso il lavoro o ha subito ripercussioni economiche importanti; altri hanno invece vissuto la fase della chiusura e della paura collegata alla situazione senza però subire ripercussioni catastrofiche.
La situazione è stata scandita in fasi: una prima fase di crescita dei contagi, una fase di chiusura e la fase della riapertura. Nel periodo della chiusura i cambiamenti di vita sono stati massivi: si è modificato il modo di lavorare, di studiare, di uscire di casa, di relazionarsi con gli altri; ognuno si è adattato a nuove regole, nuovi tempi e nuove attività.
Il modo di praticare le relazioni all’interno delle famiglie durante la fase di chiusura ha subito dei cambiamenti: si era intensificata la vicinanza con i familiari conviventi, mentre si erano interrotte le frequentazioni in presenza con i parenti che abitavano altrove. Tutti avevano dovuto trovare nuovi modi di relazionarsi e di comunicare, ma anche di convivere, di lavorare, di stare in città: si era quindi reso necessario fronteggiare i vissuti, anche inaspettati, innescati dalla continua vicinanza o dalla eccessiva lontananza. Fronteggiare una fase critica di questa portata (che trascina con sé fantasmi di malattia e di morte, e quindi angosce di annientamento) ha comportato l’attivazione di processi di elaborazione e di adattamento che non sono stati uguali per tutti. La stessa situazione ha comportato per le diverse persone esiti e risposte differenziate, sia sul piano di realtà che sul piano dei vissuti emotivi. Ognuno ha attivato le proprie difese ed ha utilizzato le proprie risorse interne per mettere in campo una necessaria resilienza.
Nel periodo della chiusura, nelle famiglie, si sono determinate situazioni diverse dal consueto, con differenti caratteristiche e gradi di cambiamento, di tolleranza alle frustrazioni, di possibilità di fronteggiare le novità, di risposta creativa. Sono state sperimentate separazioni impreviste (tra genitori e figli, tra coniugi, tra conviventi), tra le quali anche quelle dei nonni.
Le forme delle separazioni familiari, necessarie e imposte attraverso le istituzioni, anche se protettive e come tali percepite, in alcuni casi hanno innescato nel tempo angosce di perdita, percezioni di isolamento, senso di abbandono, timori di non risoluzione e fantasmi di morte. Oppure, al contrario, sono state attivate reazioni di contrasto ai timori più profondi attraverso forme di negazione o di sottovalutazione della gravità della situazione; oppure ancora sono entrate in campo capacità reattive che si sono tradotte in modalità costruttive e creative. Più facilmente, tutti hanno sperimentato forme di oscillazione tra uno stato e l’altro, come se fosse impossibile (nel periodo più difficile della chiusura) attestarsi su un equilibrio interno sufficientemente elaborabile.
In questa evenienza, i nonni hanno vissuto situazioni particolari e diverse gli uni dagli altri: chi abitava lontano (fuori regione o in altro paese) e ha interrotto le frequentazioni con i nipoti per mesi; chi abitava vicino, ma per età e situazione sanitaria ha sospeso i contatti (chi nel periodo di chiusura e chi anche dopo); chi si è trovato a vivere con i nipoti perché i genitori erano impegnati in attività a rischio di contagio; e così via.
I concetti di lontano e vicino avevano quindi assunto un’altra dimensione: sia che si abitasse nella stessa città, sia che si abitasse in città diverse, non ci si frequentava più in presenza, ma attraverso le tecnologie; se i nonni vivevano con i nipoti mentre i genitori erano impegnati in attività a rischio, alloggiando quindi altrove, la situazione era ribaltata.
In tutti i casi, oltre al piano di realtà hanno contato i vissuti: l’impossibilità di frequenza, o l’impossibilità di mantenere i ritmi precedenti di frequenza, poteva avere mobilitato capacità di risposta e di tolleranza dei tempi di attesa, oppure risposte involutive e aggravate da sentimenti di angoscia.
I nonni che si sono trovati a gestire i nipoti in quella fase, hanno vissuto un forte cambiamento nei tempi e negli spazi usuali: le scuole chiuse, le persone sempre in casa, le attività di tutti che avvenivano negli stessi momenti, in una sorta di concentrazione e compressione coartata. I tempi di cura dei bambini, in questo caso, si erano dilatati ma contemporaneamente si erano azzerati quegli spazi sociali (come i giardini, le biblioteche, i centri gioco) che di solito aiutano gli adulti a gestire il tempo dell’infanzia.
I nonni che invece hanno interrotto, in quella fase, il rapporto in presenza con i nipoti hanno sperimentato dei cambiamenti importanti: non c’era più l’accudimento dei bambini; è stato necessario attivarsi ed aggiornarsi per tenere i contatti attraverso le tecnologie; occorreva pensare a contenuti su cui relazionarsi prima del contatto poiché non vi erano più esperienze dirette condivise. Ci sono nonni che attraverso il video hanno raccontato favole, aiutato nei compiti scolastici, cantato canzoncine, giocato a battaglia navale e a indovinelli.
In quella fase, per alcuni nonni si è palesato il timore di perdere il contatto con i bambini, e il timore che i nipoti si dimenticassero di loro, orientandosi verso altre relazioni affettive ed altre esperienze. Si era insinuato, per alcuni, il dubbio di non essere indispensabili, nella vita affettiva dei nipoti, appoggiando quindi sulla situazione particolare quell’angoscia di perdita che caratterizza la consapevolezza dello scorrere del tempo. All’inizio i nonni hanno sperimentato un senso di perdita (della vita di prima e della sicurezza che da essa scaturiva), hanno vissuto timori riferiti ai bambini e alle loro famiglie, e hanno sentito la difficoltà di immaginare il futuro immediato.
Nella fase della riapertura, quella che ancora stiamo attraversando, sono ripresi i contatti, vissuti attraverso una oscillazione tra sollievo e prudenza, tra bisogno di riavvicinamento e necessità di attenersi alle regole di distanza. Le nuove regole di vita, già praticate a partire dal periodo di chiusura, hanno messo in moto nei nonni stati emotivi compositi, caratterizzati dall’altalenare tra sensazione di euforia e bisogno di riappropriazione dei contatti da una parte, e vissuti di timore e senso di incertezza rispetto alle modalità di frequentazione dei luoghi dall’altra. Ci sono dei movimenti di andata e ritorno tra aspetti vitali ma anche onnipotenti da una parte, e aspetti prudenziali ma anche depressivi dall’altra.
Si tratta di stati emotivi percepiti con gradienti soggettivi e con modalità personali che riflettono i movimenti del mondo interno di ognuno.
Nella fase della riapertura è riaffiorata la speranza ed è riemersa la voglia di recuperare una propria dimensione vitale, ma si è imposta anche la preoccupazione per il rischio ancora attivo del contagio, il timore di effetti nocivi per sé e per la propria famiglia e un senso di incertezza diffuso.
Se gli adulti hanno vissuto situazioni diverse con momenti di oscillazione tra sentimenti contrastanti, dovendo fronteggiare in molti casi difficoltà concrete sul piano di realtà (per il lavoro, per la salute), quali sono stati i vissuti dei bambini? Come hanno percepito la fase della chiusura e quella della riapertura? Come hanno percepito la chiusura delle scuole e poi il rientro nella vita sociale caratterizzato da parzialità (dell’uso degli spazi cittadini, dei riavvicinamenti, delle relazioni, delle attività)?
I vissuti dei bambini, riferiti alle diverse fasi della pandemia, hanno a che fare soprattutto con i vissuti dei loro genitori, e solo in parte con quelli dei familiari con cui hanno legami vincolari.
Occorre quindi chiedersi, precedentemente, come hanno reagito i genitori: cosa hanno pensato, cosa hanno temuto, che risorse hanno messo in campo, che rappresentazioni e che significati di realtà hanno potuto costruire.
I bambini sono in ascolto dei sentimenti degli adulti per loro significativi, sono attenti alla relazione che intercorre tra i genitori, e intercettano i vissuti che essi sperimentano, appropriandosi dei segnali che osservano attraverso il filtro del loro mondo interno.
Dall’altro lato, il cambiamento radicale dei contesti di vita (la sottrazione della scuola, dei parchi, degli amici, le dinamiche di presenze/compresenze familiari e di distanze da altri – dai nonni ad esempio) hanno sollecitato nei bambini-ragazzini dei vissuti e delle reazioni che sono stati letti, accolti, decodificati, contenuti, elaborati dai genitori?O si sono determinati corti-circuiti, interazioni problematiche tra genitori e figli?Di questo in specifico non tratteremo qui.
Il pensiero dei nonni corre ai bambini, che nella fase di chiusura hanno vissuto nel loro ambiente familiare, diventato unico contesto di riferimento, e che ora riprendono i contatti con altri ambienti (i centri estivi, i giardini, le case dei parenti).
I bambini, soprattutto nella fascia di età 0-6 anni, esprimono i propri vissuti attraverso il corpo. Guardando come giocano, come si muovono, come mangiano e come dormono, si può comprendere qualcosa del loro stato emotivo. La conoscenza dei nonni sui bambini si è modificata nel periodo della chiusura (era più difficile osservare il loro stato a distanza), e si è poi ricostituita nel periodo della riapertura, con tempi e ritmi diversi. I nonni, nel periodo di chiusura, avevano dei bambini una conoscenza parziale, più rarefatta, costituita da ciò che emergeva nei contatti attraverso i media o attraverso le parole dei genitori: avevano quindi dovuto affinare la loro capacità di osservazione e di intuizione, utilizzando i propri sensori per cogliere gli aspetti che si rendevano disponibili. 
I nonni oggi si interrogano su come comprendere i bisogni dei bambini e il loro stato emotivo, a fronte dell’esperienza complessiva di questo anno particolare.
Si chiedono anche come mantenere il confine di ruolo, conservando al tempo stesso un contatto significativo con i figli adulti, ora investiti di un ruolo genitoriale che ha richiesto una diversa interpretazione.
Ciò che soprattutto i nonni possono fare è esserci: stabilendo rituali di contatto (che possono anche cambiare via via nelle diverse circostanze) e aiutando i bambini ad esprimersi, aiutandoli a dare parole a ciò che sentono e vivono. I nonni possono sostenere la relazione con i bambini, mettere le parole su ciò che sta succedendo utilizzando termini rassicuranti, affinché i bambini possano contattare la realtà in cui si trovano attraverso la voce fiduciosa degli adulti.

La relazione nonni-nipoti durante la pandemia

A cura di Viviana Ricchi – Docente e Supervisore della Scuola di Specializzazione c.i.Ps.Ps.i.a. e già coordinatrice pedagogica del Comune di Bologna


Il presente contributo prende spunto e corpo da aspetti emersi nell’ambito di una iniziativa formativa e di scambio per nonne, iniziativa che ha “incrociato” nel suo percorso l’emergenza sanitaria per il coronavirus, rendendosi necessario un cambio organizzativo, da incontri in presenza a incontri online, durante i quali ricca e densa è stata la condivisione di vissuti tra le partecipanti.
L’iniziativa cui mi riferisco è nata nel 2017: nell’ambito delle iniziative proposte dall’Associazione Per-corsi [1] tre professioniste [2] che hanno condiviso la loro formazione psicodinamica presso il c.i.Ps.Ps.i.a., da un’idea di Gigliola Corsini, hanno organizzato “Il caffè delle nonne” per attivare un gruppo di conversazione e scambio sull’essere nonne/nonni, con particolare riferimento alla condivisione di esperienze vissute come nonni di bambini tra due e sei anni. Gli incontri si sono svolti nei cicli precedenti all’interno di una libreria, della libreria Ubik di Bologna, per sottolineare come i libri, in particolare i libri per bambini, rappresentino uno strumento privilegiato della comunicazione con i bambini in generale e, nello specifico tra i nonni e i bambini.
Il “caffè delle nonne – quarta edizione” è stato avviato il 16 ottobre 2019 con gli incontri programmati a cadenza quindicinale fino a febbraio 2020, poi, a causa dell’emergenza sanitaria per il coronavirus, si è resa necessaria la sospensione degli incontri in presenza.
Tale sospensione ha suggerito alle conduttrici del gruppo di mantenere il contatto con le partecipanti tramite le modalità online; ciò ha attivato un ricco scambio di mail tra le nonne per condividere esperienze, stati d’animo e fatiche, soprattutto esperienze e fatiche di nonne appesantite dall’emergenza sanitaria.
La pandemia ha investito il mondo intero, ha cambiato la quotidianità in senso sottrattivo, ha richiesto cambiamenti repentini in funzione di modifica e sostituzione delle attività di ogni giorno (recarsi al lavoro, andare a scuola, uscire ogni giorno per fare la spesa), quelle che scandivano le giornate in modo prevedibile, e quindi rassicurante, ma ha anche mandato in subbuglio le emozioni della maggior parte degli esseri umani. Per salvaguardare la salute, evitando le possibili occasioni di diffusione dei contagi, sono state normate le relazioni tra i soggetti: è stato previsto il distanziamento sociale, non bisogna avvicinarsi fisicamente, ma stare a distanza, non si possono avere contatti e scambi fisici (dalle strette di mano agli abbracci, le frequentazioni sono da evitare, gli spostamenti ed i viaggi sono stati eliminati…). Tra i comportamenti volti ad evitare il passaggio del virus da una persona all’altra, le frequentazioni nonni-nipoti sono state sconsigliate, soprattutto a protezione dei nonni considerati soggetti maggiormente a rischio. La casistica e gli studi hanno infatti evidenziato la fragilità degli anziani nei confronti dei contagi e della malattia e, in molti casi, come si sa, i nonni sono anziani.
L’esperienza dei nonni in tempi normali prevedeva che l’incontro con i bambini, con i nipoti, fosse fatto di contatti, di baci, di abbracci, di coccole, a partire dai bisogni caratteristici dell’età evolutiva, soprattutto nelle prime fasi da zero a sei anni, ma anche in relazione al piacere dei nonni e alle modalità spontanee con le quali si esprime l’intensità dei legami affettivi. Le esperienze dei bambini si realizzano prevalentemente con il corpo, con le mani, sono costituite da azioni, dal fare, dal costruire, e da esplorazioni con tutti i sensi; l’espressione delle emozioni e dei sentimenti nei bambini spesso corrisponde a vissuti globali e a comportamenti che prevedono la vicinanza, la prossimità, il contatto. Il lockdown ha inciso su tali modalità espressive, prevedendone l’evitamento assoluto, o imponendone la trasformazione in comunicazioni realizzabili nel distanziamento, meno concrete e più mentali.
Nell’impossibilità di incontrarsi direttamente la vicinanza concreta tra i bambini ed i loro nonni è stata sostituita da una vicinanza di pensiero, emozionale, una vicinanza “significativa” come la definisce Nicolodi (Nicolodi G., percorsiformativi06.it, webinar 12-6.2020), desiderosa di incontri e di contatto, disponibile all’ascolto dei bambini con qualsiasi mezzo, seppure non in presenza.
La tecnologia e gli strumenti che si avvalgono dell’online, delle videochiamate, delle chat, di whatsapp sono  stati incrementati moltissimo, e forse anche da parte di chi in precedenza non li utilizzava correntemente, tali linguaggi sono diventati più familiari. Forse non si tratta delle modalità preferite dalla maggior parte di nonni, ma sono state le modalità possibili che hanno consentito la presenza, il contatto, la partecipazione, almeno parziale, alla vita dei nipotini. Se il contatto a distanza è stato reso possibile, è dipeso funzionalmente dall’apporto della tecnologia, ma sul piano motivazionale la spinta è derivata dal desiderio da parte dei nonni di stare nella vicinanza, tenendo nella mente i bambini e la relazione con loro.
I cambiamenti massicci che l’emergenza sanitaria ha comportato hanno riguardato tutti, modificando usi e costumi in termini di realtà ed inoltre hanno mandato in subbuglio le emozioni. Per capire come i bambini possono aver vissuto questo periodo e come sono cambiate le relazioni nonni-nipoti, innanzitutto è necessario partire dai vissuti degli adulti, a causa dell’inevitabile influenza che il clima emotivo definito di fatto dal contesto di vita, ha sui bambini.
Gli adulti, i nonni in particolare possono avere incontrato dei vissuti di disorientamento rispetto al virus che minacciosamente si è insinuato in tutti i Paesi ed ha fatto sentire le persone improvvisamente più fragili, anche la medicina e la scienza sono state percepite come inefficaci. Un fenomeno così vasto ha messo in contatto soprattutto i meno giovani con angosce di possibile malattia, di morte e della finitudine; si tratta di angosce di solito tenute a bada tramite l’attivazione della pulsione aggressiva e libidica verso la vita. In genere è proprio l’inno alla vita che accompagna le nuove nascite, e poi la crescita che ne consegue, che infondono fiducia nel futuro e permettono di gestire le eventuali angosce riguardo all’essere mortali.
La pandemia ha attaccato pesantemente le sicurezze personali degli adulti e, di conseguenza, anche la possibilità di trasmettere rassicurazioni ai più piccoli. Le limitazioni alla libertà di movimento inoltre possono avere attivato in alcune persone vissuti di tipo depressivo, caratterizzate da regressioni, chiusure e ritiri in sé; in altri possono avere indotto a fare ricorso alle risorse mentali adulte, per cercare il modo di autorassicurarsi e potere fronteggiare le difficoltà tramite aggiustamenti personali. A seconda del vissuto degli adulti, nella vasta gamma di possibilità, i bambini possono avere ricevuto maggiore o minore sostegno, soprattutto sul piano emotivo.
I bambini, inevitabilmente, hanno vissuto una esperienza “speciale”: inizialmente sembrava una vacanza, poiché non si andava a scuola, però non si poteva uscire, non si andava al parco (almeno fino al 4 maggio u.s.), si trascorreva tutto il tempo a casa, con entrambi o con uno dei genitori. Presumibilmente ai bambini sono arrivate informazioni di malati, ospedali, morti, ed essi hanno inevitabilmente respirato il clima preoccupato percepito negli adulti vicini a loro. In termini di realtà le esperienze per i bambini sono cambiate, ma la qualità di vita che hanno vissuto non è detto che sia stata connotata in tutti i casi dalla negatività; come sempre le variabili che determinano i vissuti sono molteplici. Intanto, perché la consapevolezza della realtà da parte dei bambini non è quella degli adulti, ed è diversa a seconda della fase evolutiva; ad esempio solo dopo i 5-6 anni il concetto di morte è vissuto come qualcosa di irreversibile, e quindi preoccupante. Nei primi anni di vita i bambini sono in contatto con le loro esperienze fatte di latte-pappe-ciuccio-nanna-gattonamenti o passetti traballanti per casa, ecc… e, soprattutto, da ciò che gli occhi della mamma e del papà, o della nonna e del nonno (quando è possibile), rispecchiano loro. La limitazione al muoversi nel parco o incontrare amichetti, o l’alterazione a volte di ritmi sonno-veglia, o qualche regressione relativa alle regole, o qualche accentuazione  di ricerca di vicinanza-dipendenza dal genitore possono essere stati segnali di fatica nei bambini… Forse per alcuni bambini la condizione dello stare in casa, di per sé limitante, può anche aver giovato, poiché ha consentito il recupero di vicinanze e momenti regressivi con la mamma ed il papà, che non trovavano spazio nella quotidianità della fretta. Certo a volte la mamma o il papà potevano essere un po’ nervosi, ne avevano motivo, ma qualche storia in più l’hanno raccontata ai loro bambini prima di andare a dormire… qualche preparazione di biscotti o pizza in più è stata in varie famiglie condivisa… Se poi i genitori sono riusciti a mettere parole sulle emozioni per renderle pensabili, sia durante il lockdown che nelle fasi del ritorno alla normalità, ciò ha permesso di renderle gestibili da parte dei piccoli.
Il problema è che nel distanziamento i nipoti sono mancati alle nonne e ai nonni. I nonni desiderano condividere le esperienze con i nipoti, desiderano stare vicini a loro, per la vitalità che a loro infondono, e forse anche per il timore di essere dimenticati o di non essere abbastanza significativi ai loro occhi.  Le relazioni con i nipotini possono essere mantenute con le medesime caratteristiche che in genere le connotano, ma con strumenti e modalità diverse, nella certezza che anche a fronte del cambiamento degli strumenti comunicativi quelli che non variano sono l’intensità dell’affetto e la complicità. Per dirla in altri termini, cambia il modo, non la sostanza!
Certo i bambini hanno bisogno del contatto diretto, soprattutto i più piccoli, ma appena crescono un po’ riescono ad intuire che gli strumenti tecnologici contengono delle sorprese interessanti: volti, voci, immagini, emozioni…anche il sorriso della nonna o del nonno!
Certo le modalità di comunicazione a distanza rendono necessario concentrare in pochi minuti, in quei flash, in quei momenti di “connessione” le coccole dei nonni.  Per i nonni si tratta di carpire delle impressioni, di intuire come stanno i nipoti da un piccolo cenno, da un’espressione del volto, da uno scambio con la mamma o col papà. Le proiezioni possono essere state più massicce poiché riferite a frammenti di osservazione anziché a tempi ampi di condivisione o frequentazioni pressoché quotidiane come nel periodo precedente: se il nipotino piange per ciò che è successo prima del collegamento, o se non vuole venire al telefono, sono queste le immagini e le sensazioni che rimangono negli occhi e nella mente, che possono rattristare e  fare ipotizzare cause di cui non è detto si possa avere conferma; forse potrà essere utile richiamare alla memoria che la volta prima era di buon umore, sorrideva…
Un altro modo poi affinché i nonni si rendano presenti è quello che si realizza nell’affiancamento e nel sostegno ai genitori dei nipotini, ai figli e alle figlie e alle loro compagne/compagni, che possono attraversare o avere attraversato periodi particolarmente difficili riguardo alla coniugazione tra le esigenze familiari e la gestione degli impegni lavorativi. In alcuni casi si tratta di fare cose per loro, per alleggerire lo svolgimento di alcune funzioni concrete, con ricadute positive sui nipoti, che beneficiano di tali azioni. Un esempio può essere quello di cucinare per la famiglia dei nipoti pasti…da asporto, o svolgere altre mansioni necessarie. In altri casi si tratta di averli nella mente, offrendo comprensione e conferma del loro ruolo di genitori per incoraggiarli nel portare avanti le funzioni genitoriali offrendo ascolto, aiuto, suggerimenti e soprattutto condivisione.
Anche questo è un modo, indiretto, di stare in contatto con i nipoti, ma è comunque un modo per “esserci”.
E i nipotini non possono che beneficiare di questo flusso carico di emozioni positive.
Con la “riapertura” il ritrovarsi è stato importante, sicuramente denso di echi del periodo di “distanza”, ma è importante che possa essere stato e possa essere un ritrovamento ricco di fiducia, di emozioni positive, pur con qualche prudenza o accortezza in più…verso un futuro di speranza e di crescita condivisa, nonni e nipotini e nipotine.

[1] Per-corsi è un’associazione culturale, con sede a Bologna, che propone corsi di formazione relativi a varie aree di interesse.
[2] Anna Maria Roda, pedagogista e counsellor; Gigliola Corsini, counsellor e membro del Coordinamento CNCP E. Romagna/Abruzzo; Viviana Ricchi, psicoterapeuta c.i.Ps.Ps.i.a. e pedagogista.

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